Studenti di scienze umane e docenti hanno certamente incontrato nel loro cammino formativo la carismatica figura di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana che dedicò la sua breve vita a progetti educativi rivolti a ragazzi “difficili” che, oggi, rientrerebbero a pieno titolo in ambito inclusivo.

Molti ricorderanno la “Lettera ad una professoressa”, scritta nel 1967, poco prima che Don Milani morisse, una chiara denuncia alla scuola tradizionale, retrograda, classista e votata all’omogeneità dei contenuti a discapito delle caratteristiche e potenzialità personali, che bloccava il percorso formativo di persone che non rientravano nei canoni previsti.

Questo lavoro, in realtà, non fu scritto da lui ma fu il prodotto di suoi allievi, di cui, uno, proveniente proprio dalla classe di questa professoressa protagonista della lettera. Ci tengo a precisare che, come era amaramente ovvio, non ci fu alcuna risposta.

L’introduzione alla Lettera suona come una pugnalata al cuore: “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che ‘respingete’. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate. Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva“.

Il contesto storico di quegli anni vedeva la scuola italiana impegnata nell’esclusiva formazione della futura classe dirigente e chi non riusciva a seguire i ritmi performanti di quell’impostazione veniva respinto e, di conseguenza, bloccato nel percorso scolastico. Molto spesso questo blocco, tradottosi nella bocciatura, non portava ad un aumento della motivazione dello studente a cercare di farcela, quanto ad una demotivazione che lo portava, al contrario, ad interrompere gli studi per sempre.

Era proprio contro questa modalità che combatteva Don Milani e lo possiamo vedere attraverso una sua amara riflessione: “Ma se si perde loro (gli alunni), la scuola non è più la scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Fatalità, nel ’68, si assistette ad una importante rivoluzione studentesca che sfociò nel coinvolgimento di un’intera generazione volta a modificare il modo di guardare alla scuola e alla sua funzione.

La domanda ora è: “a che punto siamo oggi nella scuola italiana rispetto al punto di vista e all’insegnamento di Don Milani?”

A livello normativo qualcosa si è mosso. Partiamo dalla legge 517/77 in cui si normava la valutazione degli alunni e l’abolizione degli esami di riparazione per cercare di cambiare, almeno un po’, il modo di fare scuola ormai superato. Con la legge 104/92 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili), finalmente, furono riconosciuti anche i diritti delle persone, quindi anche studenti, diversamente abili. Di conseguenza l’attenzione riservata alle caratteristiche personali è aumentata ed il maggiore esempio è quello della didattica differenziata, un tipo di didattica speciale riservata a studenti con DSA o con disagi di tipo socio-culturale o linguistico, tutti identificati come alunni con BES, ovvero Bisogni Educativi Speciali.

Come avrebbe interpretato questa situazione Don Milani? Il rischio evidente, a mio avviso, potrebbe essere quello di accomunare tutti coloro che non hanno una situazione normata ad un grande calderone in cui tutti entrano a far parte di una massa omogenea che, di fatto, omogenea non è. Infatti non si può non tener conto di quelle che sono le caratteristiche personali di ogni ragazzo, le potenzialità, le attitudini, le competenze. Ancora oggi vige un clima di classismo, faticosamente dissimulato a volte, che tende a non preoccuparsi di lasciare indietro degli alunni che non riescono a stare dietro al programma imposto, continuando, parafrasando Don Milani, a “fare parti uguali tra diversi”. Attenzione, però, perché oggi non ci si ferma, a livello normativo, al diritto allo studio ma si pretende il diritto all’apprendimento. Diciamo che, magari, sarebbe soddisfatto a metà.

In realtà, fortunatamente, la scuola italiana sta volgendo lo sguardo sempre più verso l’inclusione ma, in ogni caso, esiste ancora quella fetta di docenti che continuano a rimpiangere la scuola austera, autoritaria come migliore rispetto a quella attuale bollata come eccessivamente permissiva. Relativamente a questo aspetto mi viene da pensare che non sia una posizione da liquidare semplicemente con il termine classista ma che sia frutto di una mancanza di vere indicazioni e linee guida dall’alto alle quali si reagisce con chiusura come forma di difesa dalla grande confusione degli ultimi decenni, che ha un po’ fatto perdere di vista la reale mission della scuola.

Mettiamoci, poi, la necessità di raggiungere gli obiettivi richiesti dalla Costituzione in merito al pieno sviluppo della persona umana e dall’Europa in merito alla definizione di 8 competenze chiave per l’apprendimento permanente, ed il quadro è completo.

Quindi, non potendo tornare, fortunatamente dico io, alla vecchia concezione di scuola, il sistema scolastico ha scelto la via più breve, ovvero abbassare l’asticella per tutti oppure mandare avanti gli studenti non colmandone affatto le lacune.

Attenzione, il problema, a mio avviso, non è quello di bocciare ma quello di permettere a tutti gli studenti la possibilità di accedere, per meriti individuali, alla classe successiva, motivando ogni singolo ragazzo attraverso l’autorealizzazione nella speranza di un futuro roseo secondo le proprie aspettative.

Chissà cosa ne penserebbe Don Milani di questa mia riflessione sul tema!