Il gioco è comunicazione.
Il bambino che gioca non sta perdendo tempo, mai! Impara, infatti, a conoscere se stesso, i propri limiti e le proprie possibilità. In sostanza il soggetto in crescita sta comunicando e, quindi, è importante che l’adulto impari ad “ascoltare” le parole, i silenzi del bambino e ad osservare il gioco.
La condizione ludica rappresenta l’attività più spontanea del bambino. Nel gioco il bimbo esprime compiutamente la sua carica emotiva ed istintuale. Il soggetto, quindi, stimola, per mezzo di questa importante attività, le capacità di immaginazione; consolida ed arricchisce l’apprendimento; esprime la propria personalità, le preferenze, gli atteggiamenti, i timori e le paure esorcizzandoli e controllandoli, per ritrovare, così, un equilibrio emotivo ed affettivo.
Soffermandosi a guardare un bambino che gioca si possono osservare comportamenti e risposte a stimoli di varia natura.
Tali stimoli vengono esternati sia attraverso una comunicazione di tipo non verbale che verbale.
Comunicazione non verbale (CNV):
- il bambino che manca di disinvoltura nelle modalità di gioco manifesta una carenza affettiva;
- il bambino che urta contro gli spigoli di un mobile è probabile che abbia un cattivo rapporto con il mondo circostante;
- il bambino con le mani chiuse a pugno o nascoste dietro la schiena potrebbe essere insicuro a livello emotivo.
Comunicazione Verbale (CV)
Attraverso tale comunicazione è possibile denotare, in circostanze rilevanti, l’importanza che gli stessi bambini di cui sopra concedono al gioco di gruppo. In particolare il mio riferimento va a quelle situazioni in cui i bimbi utilizzano richieste attive di gioco (“dammi la palla”), invece di limitarsi ad esprimere il proprio desiderio di prendere l’oggetto ludico (“voglio la palla”). La spiegazione di tale comportamento sta, nel primo caso, nella già acquisita esperienza socializzante dove il confronto tra il proprio sé e quello altrui è già avvenuto.
Per il bambino il gioco è tutto e, giocando, diventerà un adulto curioso e creativo, capace, a sua volta, di cogliere i messaggi dei suoi figli.
Educare equivale a saper leggere le informazioni, anche quelle meno chiare, per capire il senso delle sofferenze o delle gioie dei bambini e per comprendere, al meglio, cosa fare insieme, semplicemente comunicando.